La favola del cigno nero e dell’uomo gentile

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Quel giorno il sole si nascondeva di tanto in tanto tra le nuvole, il vento fresco ricordava che l’estate era appena finita. Era bello passeggiare lungo il bordo del lago, le rane erano più tranquille oramai c’erano girini dappertutto quasi tutti con le zampette che erano ormai spuntate. La stagione cambiava, c’erano uccelli a volare, tra loro un cigno in particolare sembrava voler girare in tondo sulla testa dell’uomo gentile, ogni tanto si allontanava ma poi sembrava voltare il capo come fosse indeciso sul da farsi.
L’uomo gentile lo guardava, sentiva come se quell’uccello dal volo inquieto fosse altro, a un certo punto, così d’improvviso, esso virò e planò sull’acqua, proprio vicino a lui, iniziò una danza su quell’acqua, ancora giri ad andare e tornare, l’uomo gentile vide la bellezza di un piumaggio nero, un collo lungo, che sembrava fatto apposta per potersi girare, per guardare, i cigni e molti altri uccelli lo hanno lungo per poter guardare indietro ed in tutte le direzioni, l’uomo gentile si tolse le scarpe, rivoltò i pantaloni e si avvicinò di più alla riva, sfidò i timori del cigno con il muoversi lento e le parole sussurrate. Il cigno, pian piano, dimenticò il motivo per cui era lì e guardò fisso l’uomo gentile, forse per il suo modo così stranamente quieto, dimenticò perfino la sua natura selvaggia e venne lentamente verso le sue mani tese.
Il cigno non aveva mai visto così da vicino un uomo gentile, aveva visto fucili, inganni ma l’uomo gentile sembrava essere altro. Così, quasi per incantesimo, i due si toccarono: la punta di un dito sul becco e accadde una magia. Il dito dell’uomo gentile si fece scuro, pian piano tutto il suo corpo cominciò a mutare, furono penne e piume, l’uomo gentile non si spaventò continuava a carezzare il cigno che cominciò a parlare con una voce che lui poté capire, -carezzami ancora- disse il cigno ma le mani dell’uomo gentile erano ali ormai ed allora fu becco a becco, non c’erano più due esseri diversi si mescolarono nell’acqua nuotando coi colli intrecciati, poi ci fu il volo, sempre vicini e poi venne la notte.
Un’altra magia volle il destino, alla luce della luna, i due cigni divennero umani e la notte si tinse di fuoco.
Era scuro il prato illuminato dalla luna, i due amanti selvaggi di nature diverse stettero in silenzio a guardarsi, l’uomo gentile rimirava il volto nato dal cigno, gli sembrava di averlo già sognato nelle notti del desiderio e della solitudine, il cigno anche si esplorava con le mani che mai aveva avuto: ogni minuscolo punto della pelle era per loro una scoperta un luogo di carezze, si baciarono a cercare i loro sapori e ancora, come con le mani, le bocche vagarono ovunque la pelle nuda e chiara era per il cigno umano un incanto di sensi, si fermarono le bocche sui ventri, fu un bacio diverso che inarcò le loro schiene, si bevvero, stupiti dell’esser così, si tennero l’uno nell’altra.
Poi fu un sobbalzo e l’uomo gentile si svegliò nel suo letto e vide l’alba come mai aveva visto.

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