Se nulla dovessi difendere
delle mie stanze sicure,
se di limpido sentire
riempissi le mani a me rivolte,
se la solitudine cercata
fosse un intimo bisogno
e non necessità mendace
forse sarebbe la mia quiete.
Guardo il tuo sorriso franco,
che muove come un volo,
lo confronto col mio
che affanna a sollevarsi.
Non è la gabbia dei doveri
la mia vera prigione,
è la timorosa accidia
il vuoto che mi riempie,
quella ricerca morbosa
d’un altrove immaginario
che poi, a guardar bene,
pare quasi una fuga da me.