Il mito dell’anima gemella
Siamo al giro di boa del mese delle vacanze, quando le occasioni d’incontro svegliano i sensi e spesso nascono gli amori, spesso finiscono anche a dire il vero con qualche anima disperata che pensa che la propria vita sia finita.
Eppure basterebbero alcune semplici considerazioni di carattere matematico per capire che si può, si deve andare avanti, per capire che se l’anima gemella esiste la probabilità d’incontrarla è molto vicina allo zero.
Siamo cresciuti nel mito di una completezza e perfezione che non può appartenerci.
Facciamo qualche conto: nella vita una persona di media cultura e possibilità economica può incontrare un certo numero comunque limitato di persone (il sesso non importa perché quanto scrivo può valere per etero, omo e pure per bisex), tra queste si innamorerà di alcune anche intensamente, ci mettiamo anche le cotte giovanili; l’anima gemella c’è tra queste persone? io lo credo poco probabile; c’è invece una sua approssimazione in una percentuale che comunque può essere molto varia.
Ora, se mi seguite nel discorso, se questa persona vive in una città di densità abitativa media, è pressoché certo che nel raggio anche soltanto di un paio di chilometri vivano una o più persone con una percentuale di approssimazione più alta, questa persona non lo sa e continua a disperarsi per l’amore perso.
Già sento un brusio di commenti sul cinismo di queste considerazioni.
Io non credo che ragionare in questo modo sia cinico, in fondo la conclusione è che c’è sempre speranza per una nuova via mentre è cinico crescerci nell’illusione dell’esistenza dell’anima gemella.
Gli amori che durano nascono da una fascinazione ma poi si basano sempre su altro: sulla costruzione di un’esistenza, sul rispetto della natura dell’altro e della sua imperfezione; sulla consapevolezza che spesso si è soli ma che una compagnia aiuta quando la nostra fragilità ci fa mettere un piede in fallo.
Pensieri in leggerezza di un pomeriggio di Ferragosto.
15 agosto 2020