“L’assenza della propria essenza ci deve far riflettere sull’essenza della propria assenza”.

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Zygmunt Bauman – nel suo “Modernità liquida” – parla della scissione tra cittadino e individuo avvenuta nella modernità: “Non esistono solo soluzioni personali, biografiche a contraddizioni sistemiche”
Il cittadino che si sentiva parte di una polis, i cui problemi erano i problemi della comunità alla quale appartiene e viceversa, si è trasformato in individuo, il quale si sente separato dagli altri, non di rado entra con essi in lotta e competizione, e di conseguenza tende a fare i suoi esclusivi interessi personali, segue un egoismo di difesa.
Tale isolamento, tale segregazione dell’ego, è una “condanna di massa”.
Ci si convince di essere responsabili del proprio fallimento, la critica ricade su sé stessi, si cerca di darsi sempre più da fare, ma il contesto è tale per cui non è la nostra operosità a portare il cambiamento, quindi decade la fiducia nelle nostre potenzialità.
In una realtà sempre più precaria e competitiva, dove la persona viene ridotta a merce o, nel migliore dei casi, a consumatore di merce, il senso di inadeguatezza cresce.
Il rischio concreto è che questo venga interiorizzato a tal punto che lo si accetti, lo si consideri inevitabile. Di fronte a quel che si è convinti di non poter cambiare si soffre e/o si prova ad accettarlo, ma non a combatterlo.
E’ il meccanismo per cui la rabbia viene a essere sedata o meglio introiettata anziché esternata, creando una pericolosa assuefazione al continuum di disagio quotidiano dove è sempre tutto un lottare per arrivare alla fine del mese o avere l’ultimo smartphone.
Non esistono possibilità per il singolo individuo di poter agire sul suo malessere, quando questo ha un origine sociale e non psicologica.
Le soluzioni non vanno ricercate nel biografico, in un’analisi della propria vita, in quanto non è la persona a costituire il problema, ma il sistema in cui vive e che la espone a messaggi disfunzionali.
Il malessere che si percepisce attualmente nelle persone non ha radici psicologiche, ma sociali.
L’industria del vuoto è sempre la più fiorente.
Non è un evento raro incontrare, professionalmente e non, sempre più persone che subiscono disagi psicologici enormi a causa dell’incertezza lavorativa che li attanaglia e che cercano un sostegno.
L’angoscia in loro presente non è di un esistenziale, che parte dall’interno, ma di un esistenziale che colpisce violentemente dall’esterno.
La Persona non deve solo poter lavorare su di sé, ma soprattutto cogliere le contraddizioni del sistema e “consapevolizzarle” come altro da sé.
Deresponsabilizzare la persona rispetto a quel che subisce non significa non responsabilizzarla in merito a dove invece può svolgere un ruolo attivo.
Cultura, educazione, corretta informazione, gruppi di autoconsapevolezza sono strumenti adeguatissimi per agire a livello sociale.
Non è un’epoca facile e non immagino cambiamenti rapidi e sicuri. I tempi del cambiamento sono l’unico paragone che penso sia sensato associare alla psicologia.

(Mario De Maglie – da “Il malessere che percepiamo ha radici sociali”)

Immagine di Fernando Kaskais

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